Il rendiconto di Caterina imperatrice di Costantinopoli e principessa di Taranto (1333)

Una lettera-rendiconto del 1333 redatta a Napoli concernente spese e somme di denaro preso a mutuo o da riscuotere nel Principato di Taranto e in alcune Terre di Puglia, è conservata nell’Archivio di Stato di Firenze, qui giunta per ignote vie, o forse tramite una di quelle famiglie cittadine di mercanti e banchieri che, viaggiando, fecero la fortuna propria e della patria.
È una pergamena fatta scrivere dall’imperatrice di Costantinopoli e principessa di Taranto, Caterina II di Valois-Courtenay (1304-1346), nata a Siena, vissuta in Francia e all’epoca dimorante a Napoli. Parte del territorio su cui regnava, l’Impero (1204-1383), comprendente il Peloponneso (Acaia), e zone settentrionali della Turchia, l’aveva ricevuto da bambina per eredità della madre Caterina I.
Ora nel 1333, dopo delle controversie sulla successione, Caterina aveva lasciato parte del dominio al figlio tredicenne, Roberto, diventandone coreggente, e consegnando ai fratelli di lui altri possedimenti della Puglia.
Faceva seguito a tale decisione proprio la lettera dell’Archivio di Stato di Firenze, la quale focalizzava dal primo gennaio di quell’anno le entrate – avute dagli ufficiali del principato e delle principali terre di Puglia – e le uscite per spese di affari diversi. Dopo una discussione nella quale si citavano un “quaderno” sugli introiti e un cambio monetario a ragione di sessanta carlini d’argento per oncia, finiva con una quietanza rilasciata a favore di Niccolò di Giovanni da Firenze (banchiere senza casato specificato), “dilectus consiliaris, familiaris et devotus”.
La lettera si dilunga assai nel computo delle somme e nei passaggi di denaro e pertanto,di essa, per non perdere le informazioni magari utili in altri contesti, si riportano tradotte solo le parti principali.
Da notare la monetazione: once, tarì e grani (1 oncia = 30 tarì; 1 tarì = 20 grani). Essendo però solo moneta di conto, era necessaria la sua trasformazione in moneta fisica, rappresentata dai carlini d’argento.

Andando a leggere le spese si trovano:
– quanto assegnato dalla Camera (Erario) di Caterina, tramite il procuratore di Niccolò in Puglia, a Marino bulgaro “de Yscla” per diverse cose in varie volte e per la riparazione “unius usserii” (di una nave usciere) e di una galea, pagate quando la “gens nostra” (i soldati) andò per mare nel principato di Acaia, once 3440 tari 8 e grani 9; – il nome di Pietro di Andrea, il procuratore di Niccolò, per spese fatte per andare e venire nei luoghi del giustiziariato (il governo della provincia) per riscuotere dagli ufficiali, once 9 e tari 24;
– certi nunzi portatori di lettere in diversi luoghi, once 4 e tarì 12;
– ancora Pietro di Andrea, nei tempi in cui vacava il principato di Taranto, per gli affari dell’ussero e della galea, per raccogliere denaro e per il portagio, once 425.
Altre sue spese erano state fatte per un viaggio da Matera “Barolum”, cioè a Barletta, due volte, once 11 e tari 8, per il prezzo di un (povero) cavallo morto nei detti servizi, once 3 e tari 12, e per portagio, once 3400 da Barletta fino a Napoli a ragione di tarì 25 per centinaio, once 28 tari 20 e grani 15.
La somma di denaro presa a mutuo da Niccolò e a lui dovuta, era pari a once 3497, tarì 25 e grani 4. Di conseguenza il suo procuratore doveva avere da certi ufficiali una quantità di pecunia in carlini d’argento computata in ducati e fiorini d’oro 5 per oncia.
Seguono nella carta le somme da riscuotere da dom. Egidio “de Squaius” un tempo “iusticiario” (giustiziere) e vicario del principato di Taranto, secondo l’amministrazione risultante nell’archivio della corte e per “apodixas” (cauzione): erano assegnate once 1451 tarì 1, grani 10, cioè in oro once 509 e 3 in argento ...
Altre somme interessavano Goffredo di dom. Roberto da Taranto procuratore di dom. Giovanni da Marcavilla, Giovanni di dom. Roberto da Taranto tesoriere e familiare nostro “dilectum”, per la parte di dom. Goffredo suo fratello, dom. Ruggero di Olivero successore di dom. Egidio nel principato di Taranto, come constava dalle sue lettere testimoniali, e dom. Egidio da Palma, giustiziere e vicario delle principali Terre di Puglia.
In tutto la somma da ricevere dagli ufficiali e da ridurre in carlini d’argento era di once 3529 tarì 3 grani 10.
La somma dovuta a Niccolò, fatta “collatione” della pecunia mutuata, assegnata dalla Camera per mano del tesoriere, era di once 301 tarì 8 e grani 6 “sufficientem, ydoneam et legalem”. Pertanto Caterina assolveva, liberava e ne faceva quietanza allo stesso consigliere fiorentino, interessando gli eredi e i successori di lui con obbligazione e garanzia da parte degli eredi e successori del baliato di Roberto “primogeniti nostri carissimi Romanie despoti Achaye et Tarenti principis ...”.
A maggior garanzia l’imperatrice dava cauzione: “apodixam fieri iussumus nostro sigillo munitam”.
Si chiude così la lettera redatta per dom. Guglielmo “de Johanna iuris civilis professorem, consiliaris e familiaris nostrum”.
Riporta in basso un segno illeggibile e un “Adam”, forse il nome delle scrittore.

Paola Ircani Menichini, 19 ottobre 2023.
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